Mentre si avvicina la data del referendum su Brexit, vi è grande incertezza sui suoi effetti sul Regno Unito e sugli altri Paesi dell’Unione. C’è chi minimizza l’impatto di breve termine, soprattutto finanziario, e magnifica quelli sui flussi commerciali e d’investimento diretto; c’è chi la vede nel modo specularmente opposto, paventando un forte shock finanziario iniziale, ma ritenendo che alla fine gli effetti sui flussi reali di scambio saranno contenuti.
Queste valutazioni sottendono diverse ipotesi sulla reazione non solo dei mercati, ma anzitutto dei governi nazionali e delle istituzioni comunitarie. Per esempio, effetti importanti di Brexit sui flussi di commercio e d’investimento potrebbero verificarsi se il Regno Unito decidesse di sospendere immediatamente l’applicazione di tutte le norme europee di libera circolazione (lavoro, merci, servizi e capitali) – come in effetti chiedono molti tra i favorevoli a Brexit – per poi negoziare un rapporto completamente nuovo. Ma i negoziati si fanno in due: l’Unione non potrebbe accettare che il Regno Unito scelga à la carte quel che vuole tenere e quel che vuole scartare; inevitabilmente, proporrebbe il modello dei rapporti già in vigore con la Norvegia, l’Islanda e la Svizzera, che rispettano le regole del mercato interno europeo e contribuiscono anche al bilancio comunitario.
Se il governo britannico accetta quel modello, avrà problemi seri per spiegare all’opinione pubblica che le regole non cambiano, mentre non potrà più influenzarne la scrittura. Se non lo accetta, i mercati continentali possono chiudersi per i prodotti e i servizi britannici, perché di spazio per nuove concessioni da parte dei partner europei se ne vede poco. La piazza finanziaria di Londra svolge anche un ruolo cruciale di porta d’ingresso nell’unione per le grandi banche d’affari americane e ampi flussi d’investimento diretto; se il mercato interno si chiudesse, ci si può attendere una significativa diversione di finanza e di capitali a favore di altre piazze europee.
Questo è lo scenario in cui l’impatto negativo sull’economia del Regno Unito sarebbe forte anche nel medio termine; lo scenario opposto si basa invece sull’ipotesi che nel negoziato successivo al referendum alla fine la ragione prevalga sulle emozioni (purché la politica se lo possa permettere).
Quale che sia l’esito, ci vorrà parecchio tempo per definirlo; dunque su una cosa vi sono pochi dubbi, cioè che un referendum favorevole a Brexit aprirebbe una lunga fase d’incertezza. Il Regno Unito soffrirebbe contraccolpi finanziari significativi, anzitutto sul cambio, dati gli ampi disavanzi nella bilancia corrente dei pagamenti (oltre il 5% del Pil) e nel bilancio pubblico (quasi il 4% del Pil); non si può escludere che l’economia cada in recessione.
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