Da qualche giorno si sono scatenate numerose polemiche sull’obbligo di introdurre una sugar tax per colpire il consumo delle solite merendine e delle bevande zuccherate.

In realtà la proposta non ha nulla di straordinario. E nemmeno di novità, considerato che è stata presentata, senza successo, come emendamento alla legge di Bilancio 2019, dallo stesso M5S.

La tassa sulle bevande zuccherate, ed eventualmente su altri prodotti contenenti zucchero, già adottata da diverse nazioni al mondo ha l’obiettivo di ridurre il consumo di quello aggiunto agli alimenti (come saccarosio, fruttosio, glucosio…). È una politica in linea con le indicazioni dell’Oms che fissano un limite all’assunzione degli zuccheri liberi (tutti quelli che non si trovano naturalmente all’interno di frutta, verdura, latte…) al 10% e idealmente 5% delle calorie totali giornaliere. In altre parole gli zuccheri aggiunti a bevande o alimenti dovrebbero quasi scomparire dalla nostra dieta.

Se la introducessimo saremmo in compagnia della Francia, del Regno Unito, della Norvegia, e di altri Paesi extra UE.

Perché allora tanta polemica sull’argomento?

Probabilmente l’elevato dissenso che ha suscitato la proposta della sugar tax sarebbe dovuto al fatto che è emersa in tutta e con la massima evidenza la vera ragione della tassa: non la sua funzione reale – colpire i comportamenti potenzialmente dannosi alla salute e ottenere risorse per avviare una campagna informativa e culturale atta a stimolare le buone e salutari pratiche alimentari – ma quella di essere un mero strumento per fare cassa, per ottenere quel livello di gettito che permettesse al titolare del dicastero (diverso da quello della salute) di mantenere fede agli impegni presi con precedenti dichiarazioni pubbliche.

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