Dopo avere contemplato alcune ipotesi, per così dire, di compromesso, il Consiglio dei ministri lo scorso 17 marzo ha deciso di abolire per decreto i voucher, disinnescando i referendum abrogativi di maggio, ma mettendo in difficoltà anche le famiglie, abituate da tempo ad utilizzare questo strumento per retribuire, ad esempio, la colf piuttosto che la badante o il giardiniere. Unica concessione, la sopravvivenza garantita ai voucher ancora in circolazione fino al 31 dicembre 2017, un periodo “transitorio” entro cui dovrà essere risolto in altra maniera il problema di una regolazione seria del lavoro saltuario e occasionale.

Il Governo Gentiloni, eliminando i voucher, cancella un importante strumento utilizzato dalle famiglie per gestire le piccole collaborazioni domestiche, le quali dovranno organizzarsi per trovare strumenti contrattuali equivalenti.
Le alternative non mancano, anche se presentano un elemento comune non irrilevante: sono tutti strumenti più complessi e costosi da utilizzare.
Il minore impatto, da questo punto di vista, potrebbe verificarsi con il passaggio al lavoro intermittente, un rapporto nel quale il datore può richiedere la prestazione solo quando ne ha bisogno, entro specifici limiti di tempo (massimo 400 giornate nel triennio, ad eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo).
Il limite di questo strumento riguarda le fasce di lavoratori assumibili: solo persone con età inferiore a 24 anni o superiore a 55, fatti salvi i casi – rarissimi- in cui esista un accordo sindacale che prevede soglie diverse (ipotesi, di fatto, irreale per le famiglie), a meno che l’attività non rientri in una lista di servizi definita dal ministero del Lavoro (portineria, facchinaggio, ecc.).

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