Negli ultimi mesi, contribuenti, professionisti e uffici finanziari stanno facendo i conti con la legge 186 del 2014, che ha introdotto la procedura di collaborazione volontaria, meglio nota come voluntary disclosure.
Si tratta, come evidente, di un modello di compliance tutto nuovo, che consente sì al contribuente di sanare irregolarità di vario tipo (“ripagando” la spontaneità della collaborazione con sconti sul piano sanzionatorio amministrativo e penale), ma richiede anche il versamento di tutte le imposte illo tempore evase.
Tuttavia, se le finalità della norma sono ben chiare, operativamente, le istanze di voluntary disclosure sono un complesso banco di prova per amministrazione finanziaria e contribuenti.
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Detto ciò, è evidente come questo provvedimento normativo, vada letto in una logica sistematica, in rapporto con le ulteriori, e altrettanto importanti, innovazioni legislative, rivolte, tutte, a un miglioramento dei rapporti tra fisco e contribuente.
Vengono creati, in favore del contribuente, nuovi e penetranti strumenti di analisi e interpretazione delle norme tributarie, da attuare in condivisione con la stessa Amministrazione finanziaria.
In tale contesto, quindi, gli Uffici dismettono i panni, ormai impolverati, di un controllore, talvolta miope o, comunque, distante dalla “realtà aziendale”, per vestire, invece, quelli di un interlocutore affidabile e dialogante che, conscio della complessità del sistema economico e delle norme di riferimento, tenterà di proporsi alla stregua di un vero e proprio “consulente istituzionale” delle imprese.
Fino al 31 dicembre 2016 (data di scadenza per la lavorazione di tutte le annualità oggetto delle istanze di collaborazione volontaria), si inaugurerà un nuovo modo di “gestire” le tematiche fiscali. Un modello basato su un approccio si spera il più possibile aperto, dialogante e costruttivo.

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