Nell’immediato si tratta di un dono ai frontalieri, ma a lungo andare i veri beneficiari potrebbero essere gli svizzeri che, dopo un dibattito proseguito per oltre cinque anni, hanno finalmente deciso di introdurre il salario minimo per tutti i lavoratori. La norma si applicherà a tutti quegli impieghi, e sono tanti, per i quali non esistono accordi collettivi e che si affidano alla libera contrattazione tra datore di lavoro e dipendente. Un rapporto per sua natura diseguale che diventa una specie di Far West appena superato il confine, come ben sanno i frontalieri che sempre più spesso negli ultimi anni si sono visti proporre stipendi da 2.500/2.000 franchi al mese, praticamente da 2.300 a 1.800 euro per un impiego che a un lavoratore svizzero sarebbe pagato il doppio.

Prendere o lasciare, impossibile trattare ben sapendo che in caso di rifiuto fuori dalla porta con tutto probabilità c’è un altro lavoratore, anche lui frontaliere, disposto a lavorare anche a meno. Sta tutto qui il segreto del Canton Ticino-Eldorado per i lavoratori italiani, richiestissimi perché costano meno dei loro concorrenti svizzeri e spesso sono anche più qualificati. A ottobre il loro numero è schizzato a 67.900, ovvero il 7,9% rispetto al trimestre precedente, un dato questo che ha fatto molto discutere la Svizzera italiana dove partiti di centrodestra come l’Udc e la Lega dei Ticinesi da anni basano le campagne elettorali sull’invasione dei lavoratori italiani.

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